lunedì 30 luglio 2007 , di Pride
UNA BUONA MOS
In occasione della giornata mondiale dell’orgoglio glbt, il 28 giugno, il Movimento omosessuale sardo (Mos) ha promosso a Sassari un’occupazione simbolica dell’aula del consiglio comunale.
di Gianni Rossi Barilli
Che non basti una maggioranza sedicente progressista per approvare provvedimenti a favore delle persone glbt l’abbiamo imparato a nostre spese. E se a Roma il governo Prodi dà il “buon” esempio, non si vede perché a Sassari il centrosinistra che amministra la città dovrebbe fare diversamente. Il sindaco diessino Gianfranco Ganau aveva pur promesso di istituire un registro comunale delle unioni civili, ovviamente senza discriminazioni in base all’orientamento sessuale. Ma dal dire al fare c’è pur sempre di mezzo il mare. E figuriamoci su un’isola. Così il Movimento omosessuale sardo, che proprio a Sassari ha la sua sede, si è stufato di attendere pazientemente l’adempimento di una promessa destinata a non essere mantenuta e ha deciso di passare all’azione. Il 28 giugno, per festeggiare l’anniversario di Stonewall, ha pacificamente invaso il palazzo del comune e con l’appoggio di altri gruppi e associazioni locali ha occupato l’aula consiliare per organizzare una seduta autogestita. Una cinquantina di militanti ha fatto le veci dei recalcitranti rappresentanti delle istituzioni e ha provveduto ad approvare all’unanimità quattro mozioni, tra cui quella che prevede l’istituzione del registro delle unioni civili. Atto simbolico e privo di valore legale, ma senz’altro efficace per attirare l’attenzione su un tema altrimenti condannato all’oblio, per via delle note dispute tra laici timorosi e bacchettoni scatenati. Nel ruolo di sindaco-occupante Massimo Mele, leader del Mos, che nell’occasione non ha mancato di denunciare a gran voce la deriva omofobica e razzista della politica cittadina, stimolata da “una campagna culturale condotta dai cattolici e dalla destra”. In effetti, quando si parla di omosessualità, i politici perdono spesso di vista la loro asserita mancanza di pregiudizi e danno sfogo alla pancia. Quelli sassaresi non fanno eccezione, e alcuni di loro si erano recentemente distinti in pubbliche espressioni di odio e crassa ignoranza. C’era stato chi, in pieno consiglio comunale, aveva parlato di "devianza" e "atteggiamenti contro natura" e chi aveva invocato la storica equiparazione tra gay e pedofili. Nel corso della seduta autogestita il Mos ha deciso perciò di rendere la pariglia usando termini analoghi all’indirizzo dei politici omofobi, citandoli per nome e cognome e chiamandoli “schifosi, malati e viziosi”, esattamente come loro fanno appena ne hanno l’occasione nei confronti delle persone glbt. Nella democratica Italia esistono però due pesi e due misure. In conseguenza di ciò, chi offende gay, lesbiche e transessuali la passa sempre liscia e non suscita nessuno scandalo. Del tutto diverso è il caso in cui i destinatari di questi continui insulti, che tra l’altro generano spessissimo (come attestano le cronache) anche concreti atti di violenza, decidano di rispondere per le rime per mostrare l’effetto che possono avere certe parole. Qui interviene lo sdegno bipartisan, come è precisamente accaduto a Sassari. Meno di due settimane dopo l’occupazione, il consiglio comunale si è riunito per approvare un documento, proposto da un consigliere della Margherita, per condannare sia la violazione del sacro tempio della politica che i termini pesanti usati all’indirizzo dei consiglieri omofobi, che evidentemente hanno tutto il diritto di offendere come vogliono senza pagare dazio. Con poche eccezioni, anche i rappresentanti della sinistra si sono prestati a questa operazione, mentre una mozione che chiedeva un incontro con il Mos e la discussione in aula sul registro delle unioni civili è stata bocciata. Nel frattempo la Digos ha denunciato alla procura gli autori dell’iniziativa del 28 giugno per occupazione di edificio pubblico. Con tutto ciò Massimo Mele si dichiara abbastanza soddisfatto. “All’inizio”, spiega, “c’è stata un po’ di amarezza perché ci siamo sentiti isolati anche rispetto alla sinistra cittadina, che non ha recepito il significato del nostro gesto. Perfino l’Arci, dalla quale mi sono immediatamente dimesso, ci ha accusato di delegittimare le istituzioni. Poi però abbiamo cominciato a ricevere solidarietà da persone che non stanno nelle istituzioni e che hanno scritto lettere ai giornali per difenderci. E anche in alcune forze di sinistra, come Rifondazione, si è aperta finalmente una riflessione. Il bilancio conclusivo mi pare quindi positivo, perché abbiamo riacceso il dibattito su una questione che altrimenti sarebbe stata insabbiata, abbiamo dimostrato una volta di più che il nostro movimento è presente e combattivo nella realtà locale e abbiamo dato un esempio di dignità e di orgoglio che meritava un riconoscimento ben diverso da parte di tutti. Specialmente il 28 giugno”.
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