11-07-07, Sassari
Cinque ore di dibattito, maggioranza spaccata sui temi dell’omosessualità e della famiglia
Il Consiglio condanna il blitz dei gay a Palazzo
Si allontana sempre di più la prospettiva di un registro delle unioni civili in città
Chessa: «Nessuno ha avuto il coraggio di portare in aula la pratica sulle coppie di fatto»
SASSARI. E’ vero, quella occupazione abusiva dell’aula consiliare gli sarà pur costata una condanna formale da parte del Consiglio, ma quelli del Mos un risultato l’hanno portato a casa. Ancora una volta Palazzo Ducale è dovuto uscire allo scoperto e parlare di omosessualità, di discriminazione, mettere a nudo pregiudizi e spaccature politiche. E rendere palese una verità che per la maggioranza suona imbarazzante: il registro delle unioni civili non s’ha da approvare, ne ora nè mai. Non ci sono i numeri per portarlo in aula. Meglio tenerlo nel cassetto. Poco importa se era una delle promesse del sindaco Ganau.
Quindici giorni fa Massimo Mele, presidente del Movimento omosessuale sardo, assieme agli esponenti del Collettivo studentesco, Irs, A manca, Mandala, Cantiere sociale Alghero, Comitato 11 luglio, Sardigna natzione, Giovani comunisti, Pcl, Css, Circolo giustizia e libertà, fa un blitz a Palazzo. Si siede nella poltrona di Ganau e con una votazione simbolica fa approvare all’unanimità il registro delle unioni civili. «Visto che in un anno non sono stati capaci loro, ora ci pensiamo noi», dice. Poi, tra gli applausi e lo sventolare di striscioni, vola anche qualche parola pesante: «Schifosi, viziosi». Ce l’ha contro quei consiglieri che durante un precedente dibattito sul “Family Day” si erano avventurati sullo svivoloso argomento dell’omosessualità.
Tore Chessa (Udeur), sempre in bilico sul precipizio verbale, aveva utilizzato il termine di devianza. Marcello Orrù (Udeur), aveva parlato di atteggiamenti contro natura, Antonello Sassu (Margherita) e Giancarlo Carta (An) di distruzione della famiglia. C’era poi chi, come Sandro Profili (Fi), aveva chiesto più tempo per scindere in modo netto il concetto di pedofilia da quello di omosessualità: «Per quelli della mia generazione l’associazione era automatica - aveva dichiarato con candore - Nessuno ci ha aiutato a comprendere». Contro queste cadute di stile i gay avevano voluto dire la loro, scegliendo però il sistema meno soft, scardinando ogni protocollo istituzionale.
Così ieri mattina, all’ordine del giorno, c’è una mozione che chiede al Consiglio una condanna formale di quell’occupazione e di quelle offese. In verità già il sindaco e il presidente del Consiglio comunale avevano stigmatizzato la “profanazione” del luogo sacro della politica: «Mancanza di rispetto, metodi inaccettabili, toni esasperati».
Tuttavia, a firma di venti consiglieri, ecco il documento e poi il dibattito. Antonello Sassu si lamenta della scarsa solidarietà da parte degli altri partiti. Dice: «Cosa accadrebbe se ad occupare l’aula fossero stati esponenti di estrema destra? Sono sicuro che le reazioni sarebbero state ben diverse». Anche Tore Chessa punta il dito contro i colleghi di maggioranza. Dice: «Molti di voi in fondo sono d’accordo con noi che non accettiamo i Dico. Ma farlo apertamente significa esporsi e perdere voti. Perché nessuno ha il coraggio di portare in aula il registro delle unioni civili?».
Marcello Orrù chiede al sindaco di «recarsi dalle autorità competenti per denunciare l’occupazione abusiva delle istituzioni. E’ ravvisabile un reato?». Gli risponde Pietro Biosa (Ds): «Quando facevo sindacato le occupazioni erano la prassi». Manfredi Cao (Udeur) ricorda addirittura che negli anni 70 un asino, scortato da diversi cittadini, aveva varcato la porta e salito le scale di Palazzo Ducale. Quella del movimento gay, insomma, non sarà la prima nè l’ultima provocazione all’interno del tempio della politica. Discorso a parte, invece per gli insulti. Dice Sandro Profili (Fi): «E’ inaudita la violenza verbale da parte degli omosessuali maschi e degli omosessuali femmine. Nessuno mi ha mai dato dello schifoso. Che provi qualcuno a dirmelo in faccia». Secondo Roberto Schirru (Progetto Sardegna), al contrario, la bilancia degli aggettivi pende dalla parte opposta: «Essere definito deviante non fa piacere a nessuno». Anche perché, come ricorda Gianpaolo Mameli, il termine devianza, o malattia, sono stati depennati nel 1990 dalla stessa Organizzazione Mondiale della Sanità, che ha preferito definire l’omosessualità come una variante del comportamento sessuale, liberandola da qualunque accezione negativa. «E’ triste che il consiglio comunale - dice Mameli - si esprima ancora con parole vecchie di venti anni».
A prendere tutti in contropiede ci pensa invece Piero Frau (Rinascita sassarese): «Se quelli del Mos sono arrivati ad un gesto così plateale, è perché gli è stata preclusa la possibilità di dialogare altrimenti. Propongo di mettere ai voti una mozione che chiede l’audizione formale in aula dei rappresentanti del Mos. Facciamogli finalmente dire la loro».
La proposta viene poi bocciata. Quanto invece alla condanna formale dell’occupazione dell’aula consiliare, quasi tutti favorevoli: 17 sì. Votano no: Dolores Lai (Ds), Mameli, Frau e Schirru. Si astengono Biosa e Cao.
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