LUI E LA TRANS, CRONACA D'UN AMORE «MI è COSTATO IL POSTO DI LAVORO»
domenica 03 febbraio 2008 , di L'Unione Sarda
di PAOLO PAOLINI
SAMATZAI A volte basta un sorriso. A Paolo e Priscilla uno sguardo è stato più che sufficiente per innamorarsi. Due mesi dopo vivevano sotto lo stesso tetto, lui vedovo con un figlio, lei transessuale, carne da macello per lingue affilate come machete: «Il clima si è fatto rovente anche al lavoro, sono stato costretto a licenziarmi. Mi hanno detto che la casa comunale non sarebbe stata più disponibile. Per farla breve: ho fatto le valigie».
Quarantasette anni smorzati da dreadlocks (nodi rasta nei capelli) che sfiorano le spalle, Paolo racconta una storia d'amore e ordinario razzismo. Iniziata in via Santa Gilla, a Cagliari, e proseguita nei paesi della provincia. Una via crucis bagnata di sentimenti che la stragrande maggioranza delle persone non concepisce come tali: «Ho deciso di parlare perché è giusto che la gente sappia come vanno certe cose. Chiedo solo una piccola omissione, il cognome. Ho un figlio che studia all'università e, si sa, le colpe dei padri ricadono sempre sui figli. Comunque, con Priscilla ci siamo incontrati in via Santa Gilla, a giugno del 2006. Mi ha colpito l'altezza, centottantadue centimetri non passano inosservati, il modo di camminare. Sono vedovo, ho un ragazzo di ventidue anni. Tra lui e Priscilla c'è un ottimo rapporto. Madre e figlio no, di mamma ce n'è una, direi che sono amici. All'inizio lui non voleva che stessi con un'altra persona, non perché fosse un trans, si è comportato così anche con una fidanzata che ho avuto dopo la morte della mamma».
«Mio padre è morto quand'ero piccola, mamma ha intuito subito la mia natura. Giocavo con le bambole e cose del genere. Mi ha cacciato di casa quando ha avuto la certezza che fossi gay. Tutt'ora si vergogna di me. È giovane, ha 48 anni, ma è più forte di lei, ha avuto una vita difficile, quando dice una cosa è quella. Da piccola un suo fidanzato mi picchiava con il tubo della bombola e io non lo perdonerò mai, neppure adesso che è morto. Sono scappata e sono andata a vivere da mia nonna, e lei non l'ha mai accettato. Ho fatto il lavapiatti, manovale, lavaggista, pulizia a ore. Oggi lavoro in strada, due volte alla settimana, perché bisogna pur mangiare. Un altro lavoro non lo troverei mai, nessuno mi assumerebbe. In futuro chissà. Quando mi sono fidanzata con Paolo gliel'ho detto: "Ti discrimineranno", e lui rispondeva: "No, ma perché?". Poi si è accorto che per causa mia gli amici cancellavano il suo numero dalla rubrica telefonica. E siamo arrivati a questo punto. Però ci vogliamo bene e andiamo avanti nonostante tutto. Un amore eterno? Oggi siamo felici e questo mi basta».
«Quando ho conosciuto Priscilla lavoravo nella compagnia barracellare di Ussana, ottocento euro al mese, pagavo l'affitto di mio figlio, a Cagliari, lui è bravo all'università, ha anche la borsa di studio. Nel mio campo ero il migliore, tutti lo sapevano. Quando hanno scoperto che Priscilla non era una donna mi hanno fatto capire che ero di troppo. Vivevo nella casa del guardiano delle scuole e ho dovuto fare i bagagli. Ho dormito sei mesi in macchina, con una coperta. Adesso sono tornato nella casa che fu di mia madre. Negli ultimi tempi a Ussana molta gente evitava di parlare con me, soprattutto i ragazzi, non sia mai che qualcuno li etichettasse come omosessuali. E se fossi cattivo racconterei i nomi di chi fa la morale e poi razzola male, sono tanti. Gente che sparla e poi va in locali a fare le stesse cosa tra quattro mura, convinto che nessuno sappia. Comunque sia, alla notizia i parenti di mia moglie hanno reagito male, malissimo. Con loro non ho più alcun rapporto. Tutti gli amici si sono allontanati. Ad alcuni ho chiesto: perché ti comporti così? Risposta: "A casa tua ci possiamo vedere, ma fuori no, lei è un trans". Non vedo perché dovrei darla vinta a chi non la pensa come me. Il mio motto è vivi e lascia vivere, ma pretendo che lo stesso criterio venga adottato per me».
«Non vado mai sola a fare una passeggiata, con me c'è sempre Paolo. Capita spesso che ci insultino. A Cagliari no, è come se fossimo trasparenti, finalmente persone come le altre. Ma se disgraziatamente c'è qualcuno dei paesi che passa per la città, allora ecco i problemi. Mi è capitato di avere discussioni accese. Alla fine si chiarisce, e si va avanti. Alle mani non siamo mai arrivati, se l'interlocutore è particolarmente maleducato ci lasciamo insultandoci. Certo che vorrei una vita come tutti gli altri, per adesso non è possibile. Col tempo ho imparato a convivere con la falsità degli altri. Sapessero che gente frequenta via santa Gilla durante la notte, non alieni, ma spesso gli stessi che di giorno parlano di me e di quelle come me sollevando il ciglio con disprezzo. Vedo guardie giurate in divisa, giovani militari, marescialli dei carabinieri, politici, preti, tantissimi sposati che lasciano a casa moglie e figli. I primi tempi in cui stavo con Paolo lui voleva picchiare tutti quelli che mi si avvicinavano, quanti clienti mi ha fatto perdere, quante litigi, mi ha chiesto anche scusa».
«Non ho mai chiesto scusa semplicemente perché non avevo niente di cui scusarmi. La gelosia si tiene sotto controllo, i problemi sono altri. Non ho neppure la possibilità di fare affidamento sull'aiuto di un parroco amico semplicemente perché non frequento le sagrestie. Cerco disperatamente un lavoro, ho fatto anche qualche tentativo andato male. Sono bravo ai fornelli, ma mi adatto a fare qualunque cosa. I progetti per il futuro li ho, come tutti, ciò che mi manca sono i soldi per realizzarli. L'ideale sarebbe andare a vivere a Cagliari. Vorrei ripartire da lì e vivere come migliaia di altri cittadini. Non penso che sia un sogno irrealizzabile».
03/02/2008