Da Ramallah :
delegazione del MOS con Queer for Peace,
rete internazionale gay, lesbica, trans contro la guerra
Journey to Palestine 1/2
Un concerto di clacson ci
accompagna nell'attesa di circa tre ore a Kalandia, l'imponente check
point con torrette di 20 metri, filo spinato e barriere, che separa Gerusalemme
est, teoricamente palestinese, da Ramallah, l'attuale capitale della West
Bank.
E' giovedi' sera ed e' un prefestivo e con i lavori di ristrutturazione
del manto stradale sul versante palestinese, questo ''check point illegale''
diventa un enomre imbuto. Illegale poiche' secondo tutte le risoluzioni
dell'ONU Gerusalemme est dovrebbe essere amministrata dai palestinesi
e le immense colonie costruite nella zona, come Ma'ale Adumin, dovrebbero
essere smantellate. Non contenti, gli israeliani hanno costruito un altro
posto di blocco a meno di un kilometro, cosi' da scoraggiare i pochi palestinesi
che ancora si spostano da Gerusalemme a Ramallah per lavoro, studio o
per vedere la famiglia: ore di attesa inutili poiche' i controlli non
sono granche' approffonditi, servono solo ad umiliare ed imporre la propria
autorita'.
Nell'attesa parliamo del lavoro svolto nei giorni passati e delle nuove
modalita' d'azione per lo sviluppo di una strategia di lotta queer contro
l'occupazione israeliana e l'oppressione sociale e religiosa delle persone
omosessuali in Palestina. L'acuirsi dello scontro fra le fazioni palestinesi
rende tutto piu' difficile poiche' la propaganda contrapposta, sempre
piu' intensa e strumentale, non risparmia piu' nessuno, creando paure
incrociate, diffidenza e lontananza fra realta' altrimenti piuttosto affini.
Bahia, assistente di Mustafa' Bargouthi, ministro dimissionario dell'informazione,
ci conferma questa lettura e ci spiega come sia impossibile oggi, sostenere
realta' come un gruppo gay, la cui inesperienza e totale mancanza di radicamento
sociale e popolare, rendono un bersaglio privilegiato della propaganda
interna, e strumento di delegittimazione politica, da cui quindi tenersi
a distanza. E' forse per questo che subito dopo la sua formazione, il
gruppo comincio' a ricevere minacce e agguati, seguiti da una lettera
ufficiale che li definiva controrivoluzionari e attentatori dell'identita'
nazionale, intimandogli di terminare qualunque attivita'. Oggi del gruppo
gay non c'e' piu' nessuno: alcuni sono fuggiti in Giordania, altri in
Europa e, i pochi che non avevano soldi e possibilita' di fuga sono talmente
nascosti che neanche noi siamo riusciti ad incontrarli. Capiamo che il
problema principale non e' tanto l'omosessualita', che comunque rimane
un grosso problema, cosi' come in Italia dove c'e' chi ne richiede la
''pulizia etnica'', ma l'infuriare della lotta per il potere che si e'
scatenata dopo la presa di Gaza da parte di Hamas.
Lotta fratricida e inutile, quasi a voler nascondere agli occhi della
popolazione il fallimento di tutte le trattative e l'intenzione di accettare
soluzioni di compromesso talmente al ribasso che sarebbe impossibile far
digerire anche al piu' moderato dei palestinesi.
Rispetto alla prima missione di QfP, nel 2003, alcune cose sono cambiate
e la grande apertura dimostrata dalle organizzazioni femministe e della
sinistra di base oggi e' molto piu' tiepida, se non addirittura inesistente.
Kittam, dirigente del UPWC (Unione dei comitati delle donne palestinesi),
in un prima veloce incontro preparatorio arriva a definire l'iniziativa
come "una perdita di tempo, i palestinesi hanno altro a cui pensare".
Nell'incontro vero e proprio rittrattera' quanto detto "…problemi
di comunicazione", dopo essersi resa conto che anche il loro lavoro,
occuparsi di donne, violenza e sessualita', non e' sicuramente una priorita'
per i virili maschi combattenti dei gruppi militari palestinesi e anzi
converra' con noi che i vissuti personali hanno la stessa priorita' delle
lotte sociali o della commune lotta per l'indipendenza. Chiarita l'incomprensione,
andiamo avanti con la nostra missione. Prima di partire per Jenin, incontriamo
alcuni intellettuali a Ramallah: insegnanti alla Bir Zeit University,
giornalisti e studenti, con i quail parliamo liberamente di tutti i temi
del nostro viaggio. Cosi' come negli altri incontri capiamo come il tema
della normalizzazione e' ormai predominante nell'analisi politica della
situazione. Ma sia chiaro: non una normalizzazione dei rapporti sociali
quanto dello status quo. Ovvero la trasformazione, nell'immagginario collettivo
palestinese, dell'occupazione militare in una situazione di normalita'.
Abu Mazen incontra Olmert e cominciano a parlare di pace, si allenta la
pressione sui territori, sul muro di separazione appaiono luci stradali
e insegne luminose, nel settore arabo cominciano a comparire scritte in
israeliano e tutto sembra finire a tarallucci e vino.
La politica israeliana a riguardo e' molto insidiosa. Le enormi concessioni
fatte a Ramallah, la piu' grande citta' della Cisgiordania, e anche la
piu' liberal, sono del tutto sconosciute nelle alter citta'. Le incursioni
dei soldati israeliani sono inesistenti, gli spostamenti verso Gerusalemme
sono assicurati da Bus di linea, gli affari, piu' o meno legali, sembrano
andare a gonfie vele. Diversi palestinesi, sopratutto dell'apparato burocratico
di Fatah e dell'ANP, hanno sfruttato la situazione e si sono arricchiti
facendo affari con israeliani ed americani alle spalle del resto della
popolazione.
Spuntano ville piuttosto lussuose, cosi' come bar e ristoranti dove l'alcol
non e' un tabu' e nemmeno la carne di maiale (con prezzi sicuramente inacessibili
alla maggior parte dei residenti). All'ingresso della citta' ad accoglierti
enormi cartelloni pubblicitari di belle ragazze scollacciate e capelli
al vento che sorridono ammiccanti e, dovunque ti giri, la martellante
campagna pubblicitaria di Jawwal, l'unica compagnia telefonica palestinese
che, con una politica commerciale molto aggressiva, e' diventata leader
indiscussa della telefonia dei territori occupati.
Abu Elia's e I suoi amici sono molto interessati al nostro viaggio e ci
chiedono diverse cose, prima piu' politiche, poi, dopo alcune birre, anche
piu' personali. Capiamo che per loro l'omosessualita', pur non essendo
un tabu', e' comunque qualcosa di sconosciuto e dialoghiamo a lungo di
omosessualita' e queer fra il politico ed il privato.
Uno di loro ci ospita per la notte in una grande casa alla periferia della
citta'. Prima di andare a letto Mohamed conferma la mia tesi secondo la
quale le enomri concessioni e la tranquillita' garantita a Ramallah serve
a trasformare questa citta', nella percezione dei palestinesi, nella loro
nuova e unica capitale che permetta ad israele la definitive ammissione
di Gerusalemme con il tacito consenso dei corrotti vertici palestinesi.
L'arrivo a Jenin e' la conferma definitive delle nostre tesi sulla normalizzazione.
Ma le differenze fra le citta' palestinesi sono cosa nota anche per le
aziende che sono le prime a selezionare il tipo di messaggio a seconda
della zona. La stessa Jawwal, in citta' come Jenin o Nablus, evita i volti
sorridenti delle donne senza velo che parlano al telefono, e le pubblicita'
di shampoo o indumenta femminili sono totalmente inesistenti. Nel centro
ogni venti manifesti di guerriglieri morti c'e' un manifesto pubblicitario,
quasi sempre esclusivamente scritto e senza immagini.
A Jenin e Nablus le incursioni dei soldati sono quotidiane e l'opera di
normalizzazione e' molto piu' difficile. L'assuefazione alla violenza
invece c'e' molto piu' che altrove. Mentre balliamo spensierati ad un
matrimonio di un consigliere comunale del paese in una piazza del centro,
sentiamo raffiche di mitra: "Sono gli israeliani, hanno circondato
l'ospedale e sparano sui muri. Vogliono I guerriglieri che pero' non sono
li. Vengono ormai ogni giorno, non ti preoccupare, continua a ballare".
Dopo un po' di stupore ci facciamo coinvolgere dall'euforia collettiva
e continuiamo a ballare fino a tardi.
Da Ramallah Massimo Mele e Raoul Kafka (19/08/2007)
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