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Mozione approvata nel Consiglio Comunale autogestito 28 Giugno (file .doc)
Introduzione alla mozione sul riconoscimento delle Unioni Civili
La discussione aperta sul tema della famiglia dalla proposizione di leggi per il riconoscimento delle famiglie di fatto, impone l’analisi di alcuni punti che permettano di mettere a nudo non solo l’inconsistenza delle argomentazioni contro, ma la strumentalità e la forte omofobia implicita che alcuni discorsi contengono.
Definizione di famiglia
La famiglia e un’istituzione estremamente mutevole, per dimensione, organizzazione e funzione.
La "famiglia", qualsiasi ne sia l’estensione, l’organizzazione o la funzione, è comunque "naturale" nel senso che appartiene ai bisogni umani fondamentali, imprescindibili, legati alla socialità dell’uomo, alla sua riproduzione, alla sua affettività, al suo bisogno di riservatezza. La famiglia, insomma, denoterebbe quel primo e indispensabile esempio di "formazione sociale" di cui l’art. 2 Cost. garantisce e, ancora una volta, "riconosce" l’esistenza (non a caso, essendo l’art. 2 l’altra clausola "giusnaturalistica" della costituzione),.
Se quindi, ad essa si indirizza un bisogno "naturale" della persona, la ‘famiglia’ allora può assumere tante forme organizzative quante sono i modi in cui ognuno realizza la propria personalità. L’art. 29 perciò potrebbe essere letto come una garanzia di autonomia, di "autogoverno", ad un livello sociale minimo, di cui ognuno è padrone di individuare la fisionomia senza ingerenze dell’apparato pubblico: sarebbe una garanzia dall’estensione assai simile a quella apprestata dall’art. 8 della CEDU* ("Toute personne a droit au respect de sa vie privée et familiale").
Stante questi i presupposti giuridico-costituzionali, come è allora possibile negare la perfetta (nel senso di eguale) legittimità anche della famiglia omosessuale, così come di ogni altra formazione familiare "anomala"?.Anzi, proprio per l’elementare rispetto di questa sfera di intimità sociale che è la famiglia, nessuno – esterno a quel nucleo - dovrebbe poter esprimere giudizi sui comportamenti che in essa si tengono e tanto meno farne derivare conseguenze giuridiche. Il fatto che, per esempio, nella famiglia omosessuale non vi sia lo "scopo riproduttivo" – a parte il fatto che ormai è solamente un problema tecnologico o semmai, se passano oscure leggi, un limite giuridico, quindi convenzionale – non può certo incidere sulla garanzia riconosciuta ad essa: nessuno dubita che anche le famiglie "normali" che, per scelta o meno, siano senza figli sono ciò nonostante, almeno sotto un profilo giuridico (diversamente da quello ideologico/religioso), perfettamente "famiglie". Anzi, si potrebbe ragionare proprio all’incontrario: tanto più si ritenesse che non solo la "famiglia", ma proprio la famiglia riproduttiva, è un bisogno "naturale" della persona, tanto più si dovrebbe concludere che sia il "riconoscimento" del nucleo familiare, sia il diritto alla procreazione assistita devono essere assicurati a tutti, come "diritto inviolabile dell’uomo" alla realizzazione della propria personalità (ancora l’art. 2 Cost.).
Ma la lettura che i detrattori delle nuove forme di famiglia danno della Costituzione non è certo giuridico ma culturale, il quale sfrutta varianti tipiche dello schema classico del pensiero giusnaturalistico, che si basano su argomenti come la "normalità" dei casi o la tradizione culturale. Entra qui allora il concetto di “normalità”, o comune sentire, che però fa decadere il concetto di “famiglia naturale”. Infatti La famiglia non preesiste allo Stato, perché si evolve (come di fatto si evolve) con la stessa rapidità dei costumi sociali e delle leggi che li governano. Spetta al corpo rappresentativo, al Parlamento, al legislatore (a chi altro se no, in una democrazia rappresentativa?) interpretare l’evoluzione sociale, e quindi l’art. 29 andrebbe letto come se fosse scritto "la famiglia è una formazione sociale definita dal legislatore": sarebbe la fine di qualsiasi tentativo di uso forte, prescrittivo, costituzionale (nel senso di sovrapposto alla legge) della famiglia. I "diritti" della famiglia non preesisterebbero più alla legge, ma sarebbe la legge a crearli.
L’approccio culturale ha invece come riferimento giuridico l’etica cattolica, per la quale la famiglia si basa sul matrimonio, come patto indissolubile tra persone di sesso diverso ed è teso, come suo elemento costitutivo almeno tendenziale, alla riproduzione. In una parola, la famiglia legittima. È talmente compenetrato nella nostra cultura questo concetto di famiglia che il nostro stesso codice civile non sente neppure il bisogno di definirla: intesta alla famiglia il libro primo, la richiama per un’infinità di cose (il domicilio del minore, la determinazione dell’assegno alimentare, i doveri dei coniugi e la loro residenza, ecc.), ma non dice mai che cosa sia; il Capo VI s’intitola "Del regime patrimoniale della famiglia", ma esordisce identificando il patrimonio familiare con il regime patrimoniale tra i coniugi; e quando disciplina il matrimonio, in nessun punto prescrive esplicitamente che i coniugi debbano essere di sesso diverso. Lo dà per scontato.
Nulla di inedito: agli inizi del secolo, su pressione dei movimenti femministi, si "scoprì" che nessuna norma dell’ordinamento completava il sesso (maschile) come presupposto dell’elettorato attivo e passivo: era un dato appartenente alla "natura delle cose", così come lo è l’eterosessualità della famiglia. Fu una famosa sentenza di Mortara, del 1906, a sfatare questa "ovvietà" ragionando in termini di rigore giuridico: ma non bastò a cambiare la forza della tradizione culturale che riteneva le donne quantomeno "inadatte" al voto. Tradizioni culturali, appunto.
La realtà delle “famiglie” oggi
Dopo questa analisi della definizione di famiglia, è opportuno dare uno sguardo alle mutazioni sociali in corso ormai da anni che ci regalano una composizione sociale e, quindi, familiare, assai diverso da quella teorico religiosa dei contrari all’estensione dei diritti. Le famiglie di fatto sono oggi in costante crescita e coinvolgono, solo in Italia, milioni di persone. Così come sono in costante e forte crescita i divorzi, arrivati alla cifra record di 440 circa ogni mille matrimoni. Quasi la metà delle famiglie, entro un breve lasso di tempo, arriva alla rottura, con tutti i risvolti legali e, soprattutto, economici che questo comporta. Ma se, come è vero, la famiglia è anche il centro delle violenze su minori e donne (nel rapporto del Viminale pubblicato di recente le cifre parlano del 62% delle violenze sulle donne, il 67% degli stupri e percentuali ancora più alte se si considerano le violenze, anche sessuali, sui minori) forse l’aumento dei divorzi può essere letto come una sorta di affrancamento della donna dalla interiorizzata sudditanza all’uomo, capo famiglia, che la portava ad accettare violenze e soprusi in nome di quell’unità della “sacra famiglia” che in realtà così sacra magari non era.
Ecco allora arrivare nuove forme di relazione, dove, l’assenza di contratti di difficile risoluzione, lega il rapporto a veri sentimenti di amore, rispetto e condivisione di progetti di vita.
Difendere la famiglia senza analisi critica della violenza insita nella famiglia patriarcale strutturata gerarchicamente e considerata, da un punto di vista economico, come centro di produzione e riproduzione a basso costo, significa difendere il diritto dell’uomo, del maschio, alla sopraffazione e riconoscere, come naturale, la funzione subordinata della donna.
La scelta di forme di unione più semplici, al contrario di quanto sostengono i cattolici, permette invece di riproporre modelli di unione che, finalmente liberi da costrizioni giuridico religiose, possono finalmente basarsi su reali sentimenti affettivi e svolgere con responsabilità e successo quel ruolo di sviluppo delle personalità e di crescita sociale e relazionale che anche la Costituzione riconosce alla “famiglie” come anche alle altre formazioni sociali.
Movimento Omosessuale Sardo
*Corte Europea Diritti dell’uomo
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